L’agricoltura biologica, per noi.

Stiamo vivendo un periodo di grandi trasformazioni sociali ed economiche che coinvolgono anche l’agricoltura. La necessità di metodi produttivi più sostenibili è oramai chiara a tutti, anche all’industria. Il biologico, un tempo considerato metodo “alternativo” e spesso visto con scetticismo, sta diventando sempre di più la strada maestra. Non possiamo che rallegrarcene. Ogni ettaro in più coltivato “secondo natura” è una grande conquista per il nostro pianeta.

Al tempo stesso non possiamo non notare che - molto spesso – la scelta del bio viene fatta per questioni di marketing più che di reale convinzione, finendo con l’applicare regole e protocolli non così dissimili dall’agricoltura convenzionale.

Ne parliamo con Federico Pignati, membro storico dell’Aurora e primo Presidente di terroirMarche.

I soci dell'Aurora nel 1980

 

TM: Federico, hai visto la diretta in cui Slowine presentava la nuova guida vini (qui c'è il link al video: https://www.facebook.com/slowwineguide/videos/798379954057950/ )? Che idea ti sei fatto? Si è parlato molto di biologico…

 

Federico: Ho sentito parlare per la prima volta di Agricoltura Biologica circa quarantadue anni fa. Un collega di lavoro, allora facevo l’impiegato in una fabbrica di jeans, mi parlò di un mercatino dove aveva trovato dei vini fatti con uve trattate con il verderame e lo zolfo e senza conservanti. Mi sono interessato a questo racconto perché con gli altri amici-compagni di Aurora stavamo pensando di fare un altro lavoro e l’agricoltura era una possibilità. Stavamo mettendo in discussione le nostre vite, quello che avevamo fatto fino ad allora. Ritornando indietro con i ricordi, forse questo aspetto, mettersi sempre in discussione, è stato anche lo stimolo e la forza per crescere. Non sempre, anzi quasi mai, ho ritrovato questa ricerca continua in enologi e agronomi con cui ho avuto a che fare. 

Da questo punto di vista un buon esempio è stata la diretta Zoom di Slowine, associazione di cui ho sempre pensato bene ma che ogni tanto si uniforma e fa parlare di Agricoltura Biologica anche chi, palesemente, ha dimostrato e dimostra di esserne molto scettico.

 

TM: Intendi dire che ci sono diversi modi di fare agricoltura biologica?

 

Federico: Certamente. Ora sentiamo parlare di incentivi economici e strategie commerciali che sicuramente hanno aiutato la crescita degli ettari impegnati in Agricoltura Biologica ma spesso non sono sicuro di quanto convinti siano gli agronomi e gli enologi di molte aziende che si sono improvvisamente riconvertite. 

 

TM: Cosa vuoi dire?

 

Federico: Comincio dal mio primo approccio. Dopo un primo momento di curiosità verso i prodotti ottenuti con questa tecnica agronomica, riuscii a contattare l’unica associazione che a quel tempo era organizzata e conosciuta. Pubblicava un mensile e faceva corsi per neo agricoltori. L’associazione era Suolo e Salute con sede a Torino ed era gestita dal prof. Garofalo che è stato il nostro interlocutore per alcuni anni.

Il professor Garofalo era un maturo agronomo che non disdegnava di rispondere al telefono a domande che ora potrebbero essere considerate banali. Di qua c’ero io socio di Aurora culturalmente in discussione, spugna pronta ad assorbire informazioni, di là del telefono il Professore profondamente impegnato a divulgare notizie, esperienze, progetti. Più che manualetti o disciplinari (per la verità ce n’era uno solo, francese, dell’associazione Nature et Progrès che parlava specificatamente di viticoltura e del vino) ci interessavano e ci facevano crescere i contatti diretti. 

 

TM: Vuoi dire che più che un disciplinare è stato importante un percorso sociale, collettivo?

 

Federico: Per noi era importante ascoltare le esperienze, le sensazioni di quanti incontravamo, tutti con la volontà di cambiare l’approccio all’agricoltura, al modo di vivere il proprio il territorio, la propria vita. Attraverso questa serie di incontri abbiamo trovato altre persone, uomini e donne, che cercavano, anche loro, lo scambio di idee. Così è nata l’Associazione Marchigiana Agricoltori Biologici. Verso la fine degli anni ottanta in un convegno organizzato dall’AMAB per conoscere e capire i meccanismi della certificazione, incontrammo il responsabile biologico del ministero dell’agricoltura israeliano che ci spiegò il percorso burocratico per accedere alla certificazione bio israeliana. Comprendeva, fra l’altro, delle sedute con uno psicologo che doveva accertare l’effettiva volontà dell’agricoltore a fare Agricoltura Biologica. Mi sconvolse questa cosa ma confermava il nostro pensiero di quanto fosse importante la convinzione e la volontà nel fare questa scelta agricola. 

 

TM: Quindi stai dicendo che c’è una grande differenza di approccio, di motivazione…

 

Federico: Sì, molti dei nuovi « imprenditori del biologico » oggi si professano tali ma poi se vai a vedere sono solo dei bravi interpreti di manuali e validi chimici che sanno bene come sostituire un prodotto vietato con un altro ammesso in Agricoltura Biologica.  Non è questa l’Agricoltura e l’Enologia Biologica che vogliamo, perché non osserva la natura. Noi con le nostre attività agricole ed enologiche siamo parte di questa natura e dobbiamo agire in modo da non modificare più di tanto quello che la natura fa. Dobbiamo pensare ad ogni nostra azione, persino il camminare sul terreno, come un’azione artificiale, quindi capace di modificare la natura. Ogni nostra azione deve essere studiata con la conoscenza del micromondo in cui vogliamo agire, in modo da non stravolgere quello che accadrebbe se non ci fossimo. Questo è un ragionamento estremo, ma voglio partire così estremo per arrivare a un punto di sopportabile modifica della natura. 

 

TM: C’è stato un grande cambiamento tra il biologico degli inizi, diciamo dei padri fondatori (pensiamo ad esempio alla figura di Gino Girolomoni…), e la situazione del bio attuale?

 

Federico: La prima Agricoltura Biologica che avevamo concepito era tutta incentrata sul forte rapporto fra il contadino, inteso anche come piccola e completa impresa agricola, e la Natura. Impresa agricola mista perchè ognuno deve prendersi in carico la produzione di biodiversità, anche all’interno della stessa specie. 

Siamo arrivati a due punti fondamentali: 1) la conoscenza dei fenomeni naturali e 2) la biodiversità

La prima porta a riflettere, studiare, osservare attentamente quello che c’è oltre il nostro naso. Porta a comunicare, ascoltare, a non delegare la conoscenza. Privilegiare ciò che avviene naturalmente… Anche quello che pensiamo sia negativo per noi. 

La seconda è apertura, è la bellezza delle multiforme e dei multicolori, è la consapevolezza che non siamo gli unici esseri viventi e che le differenze ci fanno vivere. Dal ’79 al ’95 all’Aurora abbiamo piantato più siepi che vigne. 



TM: Quando è avvento secondo te il cambiamento?

 

Federico: Nel 1992 la Comunità Europea ha emanato le norme per l’Agricoltura Biologica. Si basavano sull’attenzione da avere verso la natura e dava suggerimenti per coltivare nel modo più attento possibile alla biodiversità. Parlava di pratiche agronomiche e di tempi per arrivare ad essere convinti agricoltori bio. Ma poi dopo poco è arrivata l’agro-industria che non poteva lasciare che le cose andassero in quella direzione. Come dice l'enologo Roberto Potentini nella diretta Slowine, esaltando questo cambiamento, c’è stato un passaggio dalla viticoltura rurale, giudicata negativamente, alla viticoltura industriale, vista positivamente perché, a suo dire, scientifica. 

La Comunità Europea ha continuamente aggiornato la prima direttiva, ha aggiunto sempre più prodotti che potevano essere usati. Abbiamo sempre più nuovi formulati che possono risolvere i problemi a noi ma non alle piante, non al terreno… Il verderame che l'agronomo Luigi Piersanti dice, sempre nella stessa diretta Slowine, si sarebbe usato in maniera indiscriminata, era in realtà gestito veramente in maniera oculata. Oggi l’importante è solo dimostrare con la certificazione che si fa Agricoltura Biologica. Si può prendere così il contributo e si possono promuovere i prodotti con un bel marchietto. Oltretutto, attenzione! c’è anche chi, senza perdere di vista il marketing ma in controtendenza, non prende il marchio ma si dichiara puro-bio. 

 

TM: A questo punto come pensi che si possa contrastare questa deriva?

 

Federico: Cosa dobbiamo fare? Semplice: dire quello che siamo e quello che facciamo e rifiutare, come uniche soluzioni, l’industrializzazione agricola e vinicola. Non dipende dalle istituzioni o dalle regole, dipende da noi. Non è la soluzione fare sempre di più, senza curarci di quello che tralasciamo perchè tanto c’è un rimedio... 

Non si può pensare ai grandi numeri come soluzione per la commercializzazione.I rimedi sono la qualità dei prodotti agricoli, i sani scambi commerciali, l’etica nel rapporto di lavoro. Il nostro bio non può fermarsi all’uso o no di alcuni prodotti e alla certificazione e nemmeno può essere il non fare nulla. La nostra Agricoltura Biologica deve essere ricerca,  studio continuo di come si può stare in questa natura, in questo ambiente, in questo paesaggio. 

Noi, la nostra cultura, l’ambiente, la natura, tutto ciò alla fine si traduce in Terroir. Per questo noi ci siamo chiamati così, TerroirMarche.

Nella diretta slowine tutti hanno parlato solo - ancora una volta - di vitigni ma quasi nessuno si è voluto esporre nell’accettare il Terroir come vera differenza da valorizzare. Il Terroir è il motivo per cui si fanno vini più o meno corposi, più o meno colorati, più o meno profumati. Non può essere il giudizio di una guida o un’indagine di mercato a farci fare qualcosa di diverso. Sarebbe una manipolazione forzata ed è quello che non vogliamo.


Aurora, 1981

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